ZETA

STUDIO VIT / IL MIO CASTELLO EDITORE

1995/2001 - 2/69

Doveva rappresentare la rinascita dello Studio Vit, l’immagine ultima del loro modo di fare riviste: nonostante una vita editoriale travagliata, Zeta ha lasciato un segno indelebile nella memoria dei videogiocatori

 

La storia delle riviste videoludiche è un concatenarsi di vicende e persone, anche Zeta inizia dove finisce un’altra avventura. Ancora una volta lo Studio Vit non ci sta ai vincoli che gli vengono posti, e abbandonano K alla fine del 1994, con un intenso editoriale Albini annunciò il passaggio di testimone alla gestione Edi. Progress di Zinsenheim, mentre lo Studio Vit si lanciò nella nuova avventura editoriale: ZETA.

Nelle intenzioni di Albini, Zeta doveva essere un K ancora più professionale, con più pagine e un più ampio respiro verso quella parola che a quei tempi riempiva la bocca di tutti: “multimediale”. L’idea pareva facile, e si tentò di replicare quello che successe quando il Vit abbandonò la storica VideoGiochi a favore di Zzap!, ovvero trascinare i lettori da una testata all’altra, pensando che prediligessero la squadra al marchio. Ma questa volta peccarono di presunzione, e si creò una spaccatura: la “nuova” K si spartì metà pubblico con la nuova arrivata Zeta. Questo portò anche a un’altra conseguenza, oltra al danno anche la beffa: tra i due litiganti il terzo gode. Questo terzo era The Games Machine, che assunse una posizione dominante nelle edicole.

Ma come era Zeta? Per la nuova testata si opziona per una rivista indipendente, non legata quindi a una traduzione o adattamento di un magazine anglosassone: le recensioni si focalizzano su videogiochi per MS/DOS e Windows, Amiga, Mac, fino al Philips CDI e abbracciando anche le “nuove” e potenti console a 32bit come 3DO, Sony Playstation e Sega Saturn.

I primi venti numeri sono lo specchio esatto dell’idea di Albini di fare rivista videoludica: argomenti trattati con professionalità e serietà, senza fronzoli, per questo ricorda per certi versi K, ma ancor più marcato, complice anche la grafica adottata, molto più vicina a una rivista di informatica.

Le penne messe in campo d’altronde erano di prim’ordine, tutte rodate da più di sessanta numeri di K, tra cui spiccano i nome di Andrea Minini Saldini – nel ruolo di capo redattore, fino al maggio del 1997 - Paglianti, Beretta, Toniutti, Barone e tanti altri grandi redattori.  Ogni singolo aspetto della rivista era molto curato: lunghe e dettagliate anteprime, spesso accompagnate da interviste agli addetti del settore e gli immancabili reportage sulle varie fiere ed eventi videoludici, per poi arrivare alle immancabili recensioni: la votazione, dopo i voli pindarici di K, erano molto semplici. Una scala da 1 a 10 e nello stesso box riassunti pregi e difetti, quindi tutto molto semplice. Voglio soffermarmi anche a ricordare il lavoro certosino di grafica imbastito per i primi numeri: carta di ottima qualità, rendeva al meglio le belle foto, sempre grandi, testi lunghi e dettagliati, a margine dei piccoli box di approfondimento. Benché la rivista adottasse un fondo bianco – in contrapposizione soprattutto a Xenia e ai fondi artistici, tipici comunque dello stile del tempo – faceva bello sfoggio di se l’uso varieggiato di diversi font di diverso colore. Il risultato appaga l’occhio ancora oggi, e rende la lettura confortante. Per una rivista che, come detto, arrancava, soprattutto all’inizio, non lo dava proprio a vedere: un gran numero di pagine, spesso sopra le 150, brossurata, e cover molto curate: era proprio una gioia per gli occhi e dotata di una grande personalità, senza contare il prezzo, 6.000 lire erano davvero concorrenziali a metà anni 90!

Apriva la rivista “Zmail”, l’immancabile spazio dei lettori, poi seguiva “MondoBit”, in pratica le news, ed era persino presente uno spazio “Voci dalla rete”, che raccoglieva i rumor che giravano per un neonato Internet, molto avanti quindi come impostazione. Al solito si passa alle anteprime, qui chiamate “Prima Visione”, infine il piatto forte di ogni rivista di videogiochi, le recensioni, chiamate “ZETA test”. Dopo il gran numero di videogiochi testati, si arrivava alla fine, più tranquilla e tecnica, con appunto la zona multimediale, “Zeta multimedia”, con tutti i test su quei particolari prodotti che cercavano di usare il nuovo supporto CD-Rom. Solitamente le – poche – recensioni sulle Console, un po’ estranee al target della rivista, erano alla fine: chiude ovviamente il classico spazio sulle soluzioni, sempre molto lunghe ed esaustive. Nota curiosa le recensioni sui classici: quelle che oggi chiamiamo retrogame, già Zeta aveva qualcosa di simile.

Oltre alle recensioni, vanno menzionati i bellissimi speciali e approfondimenti proposti di numero in numero: spaziavano da tematiche informatiche fino ad arrivare a dei mini monografici su vari aspetti e storie squisitamente videoludiche: se si vuole studiare più da vicino la storia dei videogiochi, Zeta va ricercata proprio per questi excursus estremamente dettagliati.

L’idillio purtroppo si spezza dal ventesimo numero: Zeta viene acquistata da Il mio castello editore, e subisce profonde modifiche, al logo si affiancava la scritta “giochi per computer", ma soprattutto dalla pessima idea di usare un formato spillato: ormai datato e inopportuno soprattutto per il numero di pagine, anche se ridotto rispetto ai primi numeri, la prima impressione è un impoverimento generale, rimarcato anche dalla pessima qualità della carta adottata. Il colpo di grazia furono comunque i demo-CD, che portarono un incremento del prezzo di copertina, che creò molto scontento. Per fortuna dopo cinque uscite infelici lo Studio Vit riacquistata la proprietà di Zeta - mentre Il mio castello realizzerà Giochi per il mio computer… ma è un’altra storia.

Si cerca subito di correre ai ripari, ripristinando il formato originario della rivista – e mettendo in costina, per la prima volta, il logo dello Studio Vit – rafforzando il logo con la dicitura “computer videogiochi”. Tuttavia nonostante la buona volontà della redazione la rivista, sempre supportata da un ottimo lavoro redazionale, non trova ancora la sua forma definitiva, e iniziò la parabola discendente. Come ultimo grido disperato si tornò ad allegare CD, ma questa volta con giochi completi: il nuovo nome della rivista, che lo porterà fino alla fine, passa a PCZeta – segnando quindi il passaggio definitivo a rivista per PC. Tutto questo però generò contrasti tra lettori e redazioni, che la accompagnarono fino alla fine.

Nonostante quest’ultima operazione, Zeta si avviò verso la fine, ormai stava perdendo quote di mercato, ma soprattutto perché dopo la vendita dello Studio Vit a Kataweb ci concentrarono sul Fantacalcio, quella che era diventata la loro attività principale. Partita dal Febbraio del 1995 termina la sua avventura nel Marzo del 2001: 69 quindi i numeri totali che compongono Zeta, un cifra di tutto rispetto, considerando l’agguerrita concorrenza che si combatteva nelle edicole. Come non mai, un nome della rivista è stato più azzeccato: l’ultima rivista del glorioso Studio Vit, e per certi versi, la fine di un’epoca.

Mauro Corbetta